(Attenzione: se pensi che questi argomenti possano ferire la tua sensibilità, proteggiti e passa oltre.)
Ogni volta che scrivo di Adhd (sindrome da deficit di attenzione/iperattività) mi si incasina il cervello: da un lato devo metabolizzare, è tutto nuovo e recente, dall’altro, come per altri argomenti, devo imparare a parlarne, capire le parole giuste da usare, alfabetizzarmi sull’argomento.
Non sottovalutate questo ultimo punto: studiare e formarsi servono a dare gli strumenti giusti per parlare alle altre persone. Troppo spesso è una fase che diamo per scontata se non superflua.
Premessa molto importante. Parlo di questa esperienza come punto di partenza di un discorso più ampio, fin troppo attuale e ancora stigmatizzato e marginalizzato: la salute mentale.
Sono del ’79, ho 43 anni belli che suonati. Quando andavo alle elementari non si parlava di Adhd. La prima volta che ne ho sentito parlare era il 2016, la diagnosi l’ho avuta a novembre di quest’anno.
Nel mentre ho avuto due esaurimenti, vari crolli emotivi e ho fatto psicoterapia con due terapeute diverse.
La psicoterapia è stata una pessima esperienza, in cui ad ogni seduta mi sono sentita giudicata e in cui ogni volta mi sentivo dire da chi avevo vicino fa questo effetto perché scavi dentro di te, vuol dire che funziona. No, faceva quello effetto perché mi stavano giudicando! Di quattro specialistɜ che ho visto nessuno ha mai avuto il dubbio che forse…
Il dubbio è venuto a me, che con i miei non strumenti economici ho cercato finché non solo ho avuto i mezzi per iniziare questo percorso ma mi sono trovata in sintonia con ɜ specialistɜ che avevo davanti.
In tutto questo percorso lo stigma del psichiatra=sei pazza, psicoterapia=allora hai qualcosa di sbagliato, aleggiava dentro e fuori di me, per ignoranza principalmente ma anche per incapacità di osservare.
La malattia la rifuggiamo in tutte le sue forme, se poi è in qualche modo invisibile allora è tutto nella tua testa. Il giudizio di cui ho sempre parlato e che pensavo fosse solo una mia sensazione era reale e concreto.
Io me la sento la responsabilità di ribaltare certi modi di pensare, di far notare discriminazioni e errori, di decostruire il modo di pensare di amiche e amici quando questo diventa pregiudizio e stigma. Ecco perché ho iniziato a raccontare questa storia.
Lunedì ho il primo incontro con lo psichiatra e ho paura perché è tutto nuovo e perché sono la prima ad affrontare i miei pregiudizi interiorizzati.
Qualche giorno fa parlando con la mia migliore amica ho espresso la volontà di rimanere aperta a qualsiasi opzione, se riterrà opportuno una cura farmacologica la seguirò. Lei è rimasta molto sorpresa, mi ha risposto avevo capito che non volessi prendere medicine. La vecchia me la pensava così, gli psicofarmaci sono per ɜ pazzɜ. Decostruire noi stessɜ è il modo per costruire una società diversa.
Dopo lunedì continuerò questo racconto, spero sia di aiuto a chiunque inciampi in queste parole.