(Attenzione: se pensi che questi argomenti possano ferire la tua sensibilità, proteggiti e passa oltre.)
Questo articolo fa parte di una serie di post che originariamente volevo pubblicare su Instagram e Telegram: partendo dalla mia esperienza personale riflettendo a voce alta su cosa voglia dire affrontare una malattia mentale, la discriminazione, i pregiudizi, quelli che io stessa non sapevo di avere.
Ma sono argomenti lunghi, corposi e che necessitano il giusto spazio: da qui l’esigenza di riservare uno spazio ad hoc dove chiunque senta la necessità possa trovare queste parole quando ne ha bisogno.
Non ti rendi conto di quanti pregiudizi hai e di quanto possa essere giudicante il tuo pensiero finché non ci passi in mezzo a certe situazioni: lunedì mi si leggeva in faccia che mai mi sarei aspettata di ritrovarmi di fronte ad uno psichiatra per valutare se e quale terapia adottare.
C’ero già finita di fronte ad uno psichiatra, nel 2015 dopo l’esaurimento. Già all’epoca mi ero resa conto di quanto certe malattie, disturbi, sindromi siano invisibili. Nel 2015 ero piena di pregiudizi e quindi ho fatto molto poco di quello che mi avevano detto e non ho preso nessuna medicina: la sensazione che la terapia fosse stata prescritta in modo troppo frettoloso mi ha fatto comprare le medicine per non prenderle mai (l’attuale psichiatra ha confermato questa sensazione).
A questo giro, come raccontavo nel primo post di questa serie (che sta prendendo una forma inaspettata anche per me), sono arrivata alla visita aperta a tutto ed ho potuto farlo perché ho avuto modo di sperimentare direttamente come certe terapie facciano bene. Ma nonostante io l’abbia visto in prima persona, l’idea dello psicofarmaco mi mette ancora adesso un po’ d’ansia.
Io ho smesso di chiamarli psicofarmaci. Questa frase mi è stata detta qualche giorno fa da una mia amica. Da quel giorno ci rifletto su ed in effetti mi chiedo: una medicina per il cuore non la chiamiamo cardiofarmaco, una per le ossa non la chiamiamo ortofarmaco, perché per questa tipologia di medicine deve esserci un’etichetta così pesante, stigmatizzante, discriminante?
Ed ancora una volta si torna a Le parole creano identità, un post scritto tanti anni fa in riferimento all’uso dello schwa, alla necessità di trovare una forma neutra nella nostra lingua, a come la questione va al di là del genere femminile e maschile. Si ritorna alla necessità di narrazioni obiettive, non giudicanti, non tossiche.
Le parole sono importanti, come ci definiamo, come permettiamo che ci definiscano, influenza la nostra stessa percezione, l’idea che abbiamo di noi stessɜ, il valore che sentiamo di avere.
Non mi sono resa conto di quanti pregiudizi avessi e di come io stessa mi sentissi migliore, diversa, normale finché non mi sono ritrovata ad andare in farmacia per comprare quegli stessi farmaci che la mutua non mi passa perché ho ricevuto la diagnosi da adulta. Non mi sono resa conto prima di quanto curarsi sia un lusso per moltɜ, soprattutto quando si ha a che fare con la salute mentale.
Il difficile di scrivere di questo pezzo di esperienza è che mi manca l’alfabetizzazione per esprimermi al meglio: la terapia che inizierò nei prossimi giorni non è una cura, dall’Adhd non si guarisce, ma è giusto chiamarla terapia? Oppure va bene anche la parola cura?
Mentre scrivo mi rendo conto ancora una volta della differenza di peso tra la frase: prendo le medicine e prendo gli psicofarmaci. E sempre mentre scrivo mi chiedo quanto sia giusto andare in farmacia con la mia bella ricetta rossa e dover dare un documento di identità per ordinare le mie medicine, quanto è giusto che siano iscritte in una lista a parte? Quante medicine si comprano senza neanche ricetta e possono essere usate in modo totalmente illecito?!?
Non ho nessuna risposta, solo un mucchio di domande ed ho deciso di pubblicare questi pensieri così come vengono per il solito scopo: se stai passando qualcosa di simile, se sei preoccupatə per te o per qualcunə a te caro, sappi che non sei solə, non sei solə nel sentire che il sistema ha qualcosa che non funziona anche se non lo sai individuare, anche se non sai spiegare quella sensazione di malessere che ti fa dire ma veramente le cose funzionano così ed è normale che sia così?!?.