Sono la prima che parla della propria diagnosi e del relativo percorso, ne scrivo online pubblicamente. Non è il parlarne di per sè che mi turba ma il come lo si fa.
Di recente sui social c’è stato l’ennesimo caso (temo che capiti molto più spesso di quel che si pensa) di una giovane donna con un disturbo alimentare diventata un fenomeno, con moltissima popolarità: i suoi video sono sofferenza pura (ne ho visto uno per un minuto ed era già troppo), sono un grido di aiuto, ma cosa si stia facendo io non lo so.
Sempre parlando in modo ignorante e da paziente, l’identificazione con la propria malattia è pericolosa e dannosa. Uno dei rischi principali è non volere mai guarire (quando si può ovviamente) perché senza malattia non si ha più uno scopo.
Capita in qualsiasi ambito, non solo quello della salute mentale. La mia più cara amica, un pezzo del mio cuore, morta di cancro nel 2019 era una cosa sola con la sua salute fisica (il tumore l’ultimo di una lunga serie): se da un lato è quasi inevitabile, soprattutto quando la malattia ti ferma letteralmente la Vita perché così grave e cronica da invalidare tutto, dall’altro noi non siamo le nostre diagnosi.
Nello stesso modo in cui una Vita umana non è solo le relazioni che ha (e non ha), il lavoro e il suo valore non è solo in funzione delle reti sociali che vive (si potrebbe aprire – non lo farò – una parentesi infinita sulle donne che nella nostra società sono identificate solo in funzione del proprio ruolo sociale: madre, figlia, moglie…), lo stesso vale per la malattia, ma ancora una volta se non c’è una rete di supporto intorno, personale e sociale, da solə si arriva fino ad un certo punto, anche con il carattere più forte e la determinazione più viva, alla fine ti stanchi.
Come potete vedere scrivo di adhd e inevitabilmente ne parlo anche nel Podcast, sono io, è la mia Vita non avrebbe senso escludere questo aspetto come non escludo il Buddismo, i gatti, le mie ansie, le mie gioie, etc…. Non mi sono costruita a tavolino per creare il mio brand (giusto per parlare tecnico), anzi sono arrivata a capire ora cosa voglio fare online dopo sei anni di esperimenti e errori. E non voglio giudicare nessunə, perché ognunə ha il proprio vissuto e le proprie debolezze, sia lə direttə interessatə dalla diagnosi che amicə e familiari vicini.
La responsabilità è individuale, sociale, politica e dello Stato.
Ma pensare che tanto non cambia nulla e continuare a credere che la politica è nei palazzi del potere di Roma mentre noi siamo a casa nostra è un errore, perché politico è ogni atto che muoviamo nel mondo.
Premesso che sono stanca di dover lottare per tutto e non sto dicendo che sia giusto così, intorno a noi manca completamente l’educazione e l’attenzione, sia per quanto riguarda la salute (tutta, non solo quella mentale) che per la scuola, il lavoro… è tutto collegato: uno dei grandi errori è sempre pensare che ci siano problemi più grandi e mettere tutto in contrapposizione.
Alcuni esempi tratti dalla realtà: Ma non sei depressa è tutto nella tua testa, pensa a chi ha un cancro oppure Stai male, sei depressə, però pensa a chi ha una disabilità (sono in crisi su questa frase non so se si dice persona disabile, con disabilità o in che altro modo… se qualcunə che legge lo sa me lo faccia presente, grazie).
Si potrebbe aprire un altro discorso che mi sta molto a cuore: la narrazione tossica (se avete voglia guardate questa puntata del Podcast). Ne siamo intrisi ogni giorno dalla tv ai giornali fino ad arrivare al bar in piazza, talmente immersi che se fai notare che forse non è il modo di affrontare l’argomento arriva l’altra frase di rito che più amo (lo sentite il sarcasmo) Non si può più dire nulla.
Essere una persona adhd è anche questo, è rendersi conto di cose che mai prima avevi dovuto affrontare, è rendersi conto di quanti privilegi hai (persona nata donna, che si riconosce come donna, eterosessuale, bianca, che vive in occidente…), è rendersi conto che qualcosa va fatto, anche per evitare che le più deboli e i più deboli finiscano ancora di più in una spirale distruttiva dove la propria malattia diventa la propria identità, per inseguire la popolarità del web e dei follower.
Sarà che di recente mi ha colpito anche vedere molti profili che parlano di adhd in modo morboso, c’è un qualcosa nel loro modo di raccontare questo disturbo che avverto come non sano, ma solo una ricerca di popolarità. Magari mi sbaglio, non dico di avere ragione.
Ogni qualvolta leggendo o ascoltando qualcosa avrete la sensazione che stoni, proverete anche fastidio, fermateVi a riflettere quanto possa essere tossico e se lo è per Voi lo è anche per chi sta parlando. E qui sembro una guru ignorante.
In tutto questo c’è anche il rischio di sminuire argomenti e battaglie, di far diventare fenomeni e mode quelli che sono disturbi e malattie serie (frasi del tipo siamo tutti un po’ adhd oppure siamo tutti un po’ depressə sono un esempio). Sminuire continuamente è un altro fenomeno del web, quello che porta ad aspettare che sia sempre qualcun altrə ad agire.
Questo post è un’accozzaglia di roba e sono tantissimi gli aspetti che vanno approfonditi pezzo per pezzo, tra cui la responsabilità dello Stato che ho giusto nominato. Il tutto si collega ad un discorso femminista intersezionale, perché non ci può essere battaglia se non vengono comprese tutte le minoranze e non solo le donne.
Di narrazione tossica ho già deciso di parlarne a più riprese per tutto il 2023 perché lo trovo un argomento cardine per leggere la società che abbiamo intorno. Tornerò su ogni punto non solo a parole ma anche con i fatti perché voglio agire e sto studiando come farlo per poter veramente dare un contributo diverso nella società in cui vivo.
Chiudo quasi sempre i miei post invitando chi mi legge a scrivermi.
Anche questo purtroppo è diventato un argomento complesso: spesso online trovi frasi del tipo scrivimi se hai bisogno di aiuto, condivise anche dalle persone più tranquille, quelle che sembrano più sincere e rispettose. Ma aiutare le altre persone è una questione seria, spesso si cade in meccanismi morbosi dove c’è solo un bisogno patologico di ricevere attenzione e informazioni per confermare i propri comportamenti. L’avevo detto che è un argomento complesso, approfondirò anche questo punto.
Il mio principale motivo per cui Vi invito a scrivermi è per comprendere ancora di più la realtà intorno a me, che non è solo quella che vivo, e poter lottare per un cambiamento collettivo: da sempre sono convinta del potere del dialogo e della condivisione.
Prima di chiudere ho un appello personale a chiunque mi legge: non siate partecipi di certe narrazioni morbose, è un modo di aiutare le fragilità altrui e le proprie sensibilità.