Una delle sensazioni che penso di aver provato più spesso dalla diagnosi è sentirmi presa in giro dalla Vita, con diversi sentimenti contrastanti dentro di me, perché sono buddista, perché credo che la Vita è anche meravigliosa e incredibile.

Per questo dico sempre che non ragiono per dualismi, le situazioni sono sempre più complesse. Però vivo in una società che passa il suo tempo a insegnarci che se una cosa è bianca non può anche essere nera: non sono immune da ciò che mi è stato insegnato, anche se non sempre corretto.

Ho passato gli ultimi anni della mia Vita, in particolare da quando ho cominciato a pedalare, a ricercare degli standard che non avevano senso: l’obiettivo non era lo stare meglio o vivere in modo più equilibrato, ma la performance, il potermi dire e sentirmi dire quanto ero brava.

Il mio attuale e conflittuale rapporto con la bici credo derivi anche da questa nuova consapevolezza.

La bicicletta mi ha cambiato la Vita e desidero tornare a pedalare, mi fa stare bene, mi si apre il cervello quando sono in sella e sento di respirare con tutto il mio corpo (anche se magari non respiro affatto dalla fatica), è una sensazione appagante e rigenerante, ma devo ricostruire anche questa relazione, come quella con me stessa.

Avrei fatto le stesse cose? Sapendo di essere adhd avrei percorso la stessa strada, sarei comunque arrivata dove sono ora? Anche se consapevole che non serve a niente farsi queste domande e nessunə potrà mai darmi le risposte, sono inevitabili e quotidiane. Ci convivo come convivo con la nuova me.

Stamattina mi sono alzata tardi rispetto a quando volevo. In questi giorni mi sono segnata dei piccoli obiettivi quotidiani per mettermi alla prova.

La differenza fondamentale rispetto a prima è che l’obiettivo non è la performance, non è sentirmi dire brava o dirmelo da sola (non sono mai stata molto capace). L’obiettivo è conoscere come funziono ogni giorno di più, non in relazione all’ambiente non per superare certi standard decisi da non si sa chi.

Non è un percorso nuovo, per brevi momenti sono già arrivata alle stesse conclusioni in passato, ma avevo sempre il dubbio di raccontarmela: non ero riuscita ad arrivare dove volevo e cercavo una scusa plausibile.

Questo è quello che ci fa credere la società in cui viviamo, che sento sempre più tossica e meno autentica. Le persone che ci sono immerse non si fermano mezzo secondo a darti della fallita e a giudicarti, senza conoscerti affatto, e ti senti sola, neanche tra le tue amicizie c’è chi la pensa come te o se c’è dubiti comunque, dubiti di tutto e quando tutto è in discussione, quando metti in discussione te stessa continuamente, arrivi ad un’unica conclusione: di non valere.

Non importa cosa ti dice chi hai intorno, se non senti tu il tuo valore nessunə può farlo per te.

Avere la forza di uscire da una spirale così non è per tuttə, ognunə ha le proprie fragilità e non tutto si risolve con una pasticca.

Non è facile capire a che specialista affidarsi, che percorso iniziare, non è facile evitare ciarlatanə e truffatrici/tori: l’immensa solitudine che senti (al di là che sia reale) è pericolosa e può portare a pessime scelte.

E poi c’è il discorso economico: ho iniziato e sospeso la psicoterapia due volte per motivi economici, non me la potevo permettere, quello che passa lo Stato è inesistente in proporzione al fenomeno oltre che giudicante. Ci sarebbe un lungo discorso politico da fare ma non ora.

Ho iniziato a scrivere proprio perché stamattina mi sono alzata tardi ed il mio cervello è tornata alla me dell’anno scorso (non c’è bisogno di andare lontano). È un fatto che ormai esista una Adriana pre diagnosi e post diagnosi, è uno spartiacque da cui non tornerò più indietro.

Ho iniziato a chiedermi quanto fossi consapevole delle mie azioni, soprattutto dei miei perché e ogni volta scopro qualcosa che non immaginavo, scopro una persona che anche quando non lo credeva era guidata da quello che l’ambiente voleva, che più lottava contro più ci annegava, come nelle sabbie mobili: più ti agiti più vai a fondo.

Ma fermarsi è un lusso ed io oggi posso farlo solo perché ho chi mi sostiene anche economicamente: se devi pagare affitto e bollette devi lavorare spesso molte più ore al giorno di quanto il tuo corpo e la tua mente permettano. Quando non lo fai sei un/a reiettə della società. E torniamo al discorso politico, non ora.

Non sono parole allegre quelle di oggi, non è sempre una favola a lieto fine. L’unica cosa che sento di dire è che non sei solə, chiunque tu sia, qualunque sia la tua situazione. Scrivo per incoraggiare chi legge e di tutta questa esperienza voglio farne anche qualcosa di concreto partendo da queste parole nate ad ogni passo di questo percorso.

Ricordandoti sempre che non sono una medica, ma solo una paziente, se hai bisogno di parlare scrivi e se hai bisogno di aiuto medico lo possiamo cercare insieme, possiamo unire le forze per provare a realizzare quello che spesso non riusciamo a fare da solə.